Nonostante fossi consapevole che si tratta di un libro per bambini, tipologie di lettura che non mi attraggono particolarmente, era da tempo che desideravo leggere Sette minuti dopo la mezzanotte di Patrick Ness. Ne avevo sentito parlare molto bene da diversi booktubers che seguo abitualmente, e una sottile curiosità si era insinuata in me. Se questo libro era tanto speciale come sembrava, tuttavia, non volevo rovinarne la lettura leggendolo come si legge un qualsiasi altro libro, ossia sui mezzi pubblici, nei momenti morti durante la giornata magari, oppure mentre si aspetta di entrare a lezione. Volevo invece crearmi un momento apposito da dedicargli totalmente, magari durante la notte, quando tutti dormono e rimane solo la luce soffusa dell’abat-jour a far compagnia.
Così ho fatto, attendendo fino ad ora, quando l’ho letto tutto d’un fiato. Se spesso infatti le troppe aspettative che riversiamo su un oggetto recano dietro di sé lo spettro della delusione, non è affatto questo il caso. Mi aspettavo un libro unico, da portarmi nel cuore per gli anni a venire, è così è stato. Posso dire che l’unico rimpianto che ho è di non averlo letto prima, magari fra la fine dell’infanzia e l’inizio dell’adolescenza, perché mi avrebbe dato insegnamenti ai quali invece sono arrivata soltanto con il passare degli anni. Mi piace pensare che le maestre leggano questo romanzo di formazione in classe ai propri alunni, perché penso che sia una lettura imprescindibile per ogni bambino.
Imparerebbe, in primo luogo, a rapportarsi con il dolore. La storia, struggente e melanconica fin dalla prima pagina, è quella di un bambino, Conor, che, nonostante la giovane età, si ritrova a dover affrontare una sfida più grande di lui, dal momento in cui la madre si ammala di cancro. I due, da che il padre si è risposato ed si è trasferito in America, vivono soli in una casa indipendente che si affaccia su un cimitero al centro del quale si erge un imponente tasso, tanto amato dalla madre. Dal momento in cui le sue condizioni si aggravano, il tasso stesso inizia ad apparire in sogno (ma è poi veramente un sogno?) a Conor sotto forma di mostro, attendendosi una reazione impaurita da parte del bambino, che però non ha paura e non può averne, perché ha un mostro molto più spaventoso e molto più terribile con cui lottare ogni notte. Si manifesta regolarmente mentre dorme, ma altro non è che è la “verità più grande di Conor”, che egli nasconde perfino a se stesso, incapace di affrontarla. Mentre il mondo circostante si fa più distante, Conor è lasciato solo con il suo dolore, incompreso da tutti, che lo evitano perché a disagio di fronte alla sua lotta. Sarà il tasso ad aiutare Conor, raccontandogli tre storie diverse, al termine delle quali sarà il bambino a dover raccontare la sua storia, la sua Verità.
Accanto a Conor, si muovono gli altri personaggi, l’amica che ha tradito la sua fiducia, il bullo che lo colpisce metaforicamente “lì dover gli fa più male”, gli insegnanti che lo trattano con compassione, quando lui vorrebbe solo essere trattato come un bambino qualunque, la nonna severa e apparentemente fredda, il padre assente. Conor non ha accettato il possibile sbocco della malattia della madre e il dolore che la situazione gli suscita, ma soprattutto, e forse è proprio questo l’insegnamento principe del libro, non ha accettato se stesso, la sua essenza di essere umano imperfetto e contraddittorio. Sarà in questa direzione che la lezione del mostro verterà, storia dopo storia, tra aneddoti uomini invisibili che vogliono essere visibili, per poi scoprire di sentirsi ancora più esclusi, o principi giusti che compiono però omicidi in nome di ciò che ritengono essere il bene per il regno, così come regine apparentemente arcigne ma allo stesso tempo pie sovrane.
La consapevolezza che il mondo è fatto di mille sfumature, che fra la bontà assoluta e la cattiveria più becera vi sono mille tonalità intermedie, è la chiave attraverso la quale decodificare il mondo e la sua apparente insensatezza.
Mi piace definire Sette minuti dopo la mezzanotte una favola moderna e lontana anni luce da quelle tradizionali. La sua modernità non è posta nella recente pubblicazione, bensì nel messaggio, così limpido e complicato al tempo stesso, perché capire gli l’essere umano e le sue debolezze non è mai semplice, ma è una tappa necessaria se vogliamo diventare uomini e donne migliori, più giusti e compassionevoli. Tanto vale, questo sforzo, compierlo già da bambini, quando l’animo è ancora limpido e la gamma dei nostri sentimenti ancora da scrivere.
Letto di recente e consigliato a più persone. E’ un libro sul quale l’etichetta “fantasy” pesa. Molti dei miei conoscenti avevano deciso di non leggerlo proprio per questo motivo (il fantasy, nonostante il successo di saghe e romanzi, resta la Cenerentola della narrativa). Tutte le persone che gli hanno dato una possibilità e con le quali mi sono confrontata hanno riconosciuto che il fantasy è solo un pretesto: dietro quel tocco di magia e soprannaturale si nasconde una profondità inaspettata. Felicissima di aver trovato la tua recensione con cui hai saputo cogliere perfettamente il senso del libro (o per lo meno di come l’ho interpretato anch’io). 😉
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